Soverein Order of Saint John of Jerusalem

  • "Dai Cavalieri al volontariato attivo", "La cultura del servizio e del dono in tutte le sue declinazioni"

    Asti - Palazzo Comunale, Sala Consiliare: venerdì 26 gennaio 2018, ore 19

  • "In Ricordo di Papa San Giovanni Paolo II°" - Programma della III' Edizione del Premio

  • Benedizione di S.S. Papa Francesco al S.O.

    Sua Santità Francesco

    Saluta con affetto i distinti dirigenti ed i membri inseriti del "Sovrano Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme" mentre eleva la preghiera di profonda gratitudine al Signore per la loro opera meritoria che realizzano a sollievo nell'assistenza sanitaria e sociale in favore della società; e li stimola a continuare con tanti meritori obiettivi.

    Ugualmente, per intercessione della Beata Vergine Maria chiede all'Altissimo che i membri di questa prestigiosa entità prosieguano aiutando quanti lo necessitano. 

    Come conferma di questi ferventi voti, a loro impartisce con benevolenza la implorata benedizione Apostolica.

  • Grossi errori …. pardon ORRORI, relativi alla scelta di revocare l’adesione ad un “Ordine Cavalleresco”.

     

    Dopo ben 35 anni di “onorato servizio” nel Sovrano Ordine, ho avuto modo di vedere un po’ di tutto e di conoscere molti aspetti delle debolezze umane: egoismo, arrivismo, vanagloria, egocentrismo, ambizione, superbia, arroganza, presunzione, vanità, alterigia, vanteria, megalomania, eccetera, eccetera, eccetera ………

    Specialmente negli ultimi anni c’è stato un picchio di domande, e quindi di ammissioni, nei circoli culturali o di preghiera, nelle associazioni umanitarie, filantropiche, di beneficienza, organizzazioni sportive, di volontariato e quant’altro…. ! Ma forse tale fatto è dovuto al bisogno di un “ritorno alla religiosità?” Forse invece abbiamo una vita così tranquilla che dobbiamo movimentarla un po’ prendendoci carico delle problematiche altrui? …. Potrei andare avanti e riempire pagine di ipotesi, invece si da il caso che siamo in presenza di moltissime cause di lievi o terribili frustrazioni, nelle quali spesso la persona cerca di essere, diventare, o meglio solo di “convincersi” di essere importante, cioè “qualcuno”, e quindi l’ “essere” o il “fare” è lo sfogo per colmare lo stato psichico in cui ci si viene a trovare quando si è bloccati o impediti nel soddisfacimento di un proprio bisogno o desiderio.

    Pur non di meno, queste mie riflessioni non vogliono essere uno studio del comportamento né a livello psicologico, che comportamentale, sopratutto perchè ritengo che le varie “frustrazioni”, al 60% degli ultimi 10 anni, sono dovute alla carenza di affetto e di “soldi”, cioè la crisi economica ha irrimediabilmente aggravato anche le incomprensioni nelle famiglie e da qui della coppia con la conseguente profonda solitudine dell'io.

    Ma tutta questa premessa, cosa c'entra con gli ordini cavallereschi? Sotto il profilo psicologico o comportamentale assolutamente nulla, i Lions o una associazione sportiva, a seconda delle caratteristiche individuali della persona, possono essere ottimali per “far parlare di se” o …. porsi in ridicolo!

    Il fatto invece è che, in un Ordine Cavalleresco, si riscontrano diverse problematiche, quali per esempio giuridiche, regolamentari, militari, disciplinari. Infatti, se dovesse finire l'interesse per una associazione sportiva od un circolo culturale, l'individuo non frequenta più o non versa la quota periodica e viene depennato dagli elenchi, fermo il diritto magari di poter nuovamente, nel tempo, essere reintegrato o riassociarsi.

    In un partito politico, organizzazione filantropica o di volontariato, invece, è magari sufficiente presentare le proprie dimissioni che, dal momento della loro accettazione, determinano il momento della cessazione di ogni rapporto.

    L'Ordine Cavalleresco però è tutt'altra cosa e non è assolutamente così semplice determinare la chiusura bilaterale di ogni vincolo: innanzitutto bisogna considerare che nell'Ordine, i propri regolamenti, possono avere centinaia e centinaia di anni e disciplinavano un atto di appartenenza che mostrava una promessa, un giuramento, o addirittura dei voti religiosi. Chi veniva “investito” donava “tutti i propri beni all'ordine” e si affidava a questi per la propria sopravvivenza; veniva creato così un rapporto di solidale fratellanza che non poteva essere annullato o tradito, spesso a pena della morte della parte soccombente in duello (ordini prettamente militari), oppure della “meditazione” solitaria in eremitaggio (ordini monacali-ospedalieri).

    Sin dal rito di investitura veniva indicata la scelta di vita che il “confrate” stava facendo: la triplice domanda del Gran Maestro e la triplice risposta affermativa del neofita a conferma della sua totale decisione, senza nessuna condizione o titubanza; i segni ed i simboli del proprio nuovo modo di essere; i valori ed il credo cui il Cavaliere prometteva e giurava, davanti a Dio ed ai confratelli, di aderire pienamente.

    Quindi, il diventare cavaliere, era in pratica una vocazione che presupponeva l’abbandono della propria volontà per “l’Ideale” attraverso azioni nobili ed altruistiche. Egli doveva dare dimostrazione di coraggio, di sacrificio anche della propria vita; era vincolato per sempre dal voto di fedeltà ai valori ed agli ideali spirituali, primo fra tutti l’amore per Dio e per il prossimo. Nella cavalleria era necessaria la virtus, cioè aver dato prova di “caratteristiche morali e spirituali”, senza di queste o in caso di tradimento ovvero perdita dei valori, della correttezza e dell’onestà, il neofita veniva allontanato con il marchio di “indegno” e non avrebbe mai più potuto avere accesso a nessun altro ordine, congregazione, incarico militare, pubblico, religioso. L’esempio storico per eccellenza lo rappresenta sempre il Caravaggio(Michelangelo Merisi, Milano, 29 settembre 1571– Porto Ercole, 18 luglio 1610) infatti: “…Il 6 dicembre 1608 i cavalieri espulsero con disonore Caravaggio dall'ordine: «Come membro fetido e putrido»”.

    Ritornando quindi al sottile filo di congiunzione che lega il passato con il presente e quindi le posizioni dei membri delle attuali “associazioni”, molto diverse dalla comunione esistente tra i confrati degli ordini cavallereschi, ecco che i cosiddetti “frustrati” spesso sbagliano a cercare esperienze diverse tra le varie forme di organizzazioni esistenti, accomunandole tutte nella stessa categoria, considerata deja vu, ma solo con l’oggetto o scopo sociale tra i più disparati. In tutti questi anni di “onorato servizio” nell’ordine, ogni volta che un neofita aveva avuto uno screzio con un dignitario oppure riteneva che le “regole” fossero troppo “vecchie” per i tempi attuali, anticipando la propria “fuoriuscita”, ….. personalmente con ansia attendevo la “lettera di comunicazione” del membro in questione …. per farmi delle sonore risate!

    Eh si, non avete idea quante fesserie ho dovuto leggere: “comunicazione di revoca dall’obbedienza”, … “lettera di dimissioni motivate”, …. “notifica di annullamento del tesseramento”, …. “comunicazione di dimissioni irrevocabili”, … “scioglimento del vincolo per giusta causa” … e tante altre!

    Ma dico io: “i valori, la spiritualità, la comunione con i fratelli, la carità con il prossimo, dove li mettiamo? Anche se non fossero state ben intese le finalità o non avessero ben capito che un ordine non è una associazione bocciofila, queste persone sono così tanto ignoranti o così molto poco istruite? Cioè hanno forse creato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato? Ovvero avevano una carica politica, elettiva o la presidenza di società? Oppure sono in condizione di schiavitù? …. Ecco perché l’ilarità: le loro frustrazioni li soggioga e non si accorgono di ciò che fanno!

    Quindi in breve, per chiarire definitivamente la ratio giuridica della differenziazione tra adesione ad una semplice attuale organizzazione associativa ed un ordine cavalleresco con centinaia d’anni di costituzione, bisogna innanzitutto considerare la posizione del membro che vuole “uscire”, se questi è un dignitario o un neofita, nella prima ipotesi potrebbe addirittura “abdicare” (cedere, trasferire ovvero rinunziare), od essere posto in “attesa, sonno, etc.” e che indica uno stato di sospensione di ogni diritto conseguente al proprio status, pur mantenendone la capacità di riattivazione. Nella seconda ipotesi invece (al grado di commendatore), ci sono solo queste 2 vie:

    • Comunicazione di “sospensione” dall’ordine: tale posizione sospende tutti i diritti della dignità e del grado pur mantenendo però i diritti di trasmissione agli eventuali eredi della titolarità del titolo. Si vuole anche ricordare che: “…la mancanza di un qualsiasi atto di conferimento od il venir meno dell’originario atto di conferimento, come nel caso di sospensione o revoca dell'atto...” è punita sia dai regolamenti del S.O., (per esempio non può essere utilizzato il titolo sulla carta intestata e sui bigliettini da visita), che dalle norme della Cavalleria e dalla legge (L. 178/1951), e che tale stato rappresenta appunto la sospensione del conferimento.
    • Comunicazione di “recesso” dall’ordine: nel momento in cui il neofita dovesse presentare la comunicazione di RECESSO, viene immediatamente aperto il procedimento disciplinare per valutare a quali condizioni può il Consiglio Magistrale concedere tale atto, ovvero se deve prendere delle decisioni od espletare attività a salvaguardia dei regolamenti, dei Dignitari, degli obblighi di segretezza, etc.

    Comunque ed in ogni caso, di ogni comunicazione l’ordine è tenuto a comunicare, attraverso internet, le attività che intraprende con i propri cavalieri, ed effettua tale pubblicazione agli effetti della comunicazione dovuta per gli atti derivanti dagli accordi stipulati ai fini del Consiglio di Damasco (1988) dagli Ordini Cavallereschi aderenti. Generalmente, con la comunicazione di recesso, quella persona non può accedere in nessun altro ordine cavalleresco firmatario del Consiglio di Damasco.

    Il G. M.                                                                                              Malta, 24.11.2016

    C

  • Notizie dal Balivato "S.S. Papa Francesco" da Buenos Aires

    Malgrado il periodo estivo che stà trascorrendo l'Argentina, i confratelli sudamericani si stanno impegnando con le iniziative che sono state programmate e che il Gran Balì d'Ambasceria, Federico Herrera Rodrigues, sta dirigendo in maniera eccellente.

    Inspección de la Escuela Franciscana Sr Embajador de Taiwan y de la Soberana Orden de San juan de Jerusalen - Buenos Aires  

  • Uso limitato ed illimitato delle decorazioni

    UNA POCO NOTA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

    SU “USO ILLIMITATO” E “USO LIMITATO” DELLE DECORAZIONI

     

     

    Nel 1959 la III Sezione Penale della Corte di Cassazione (23 aprile 1959, n° 2008, Reg. Gen. n° 3909/59) emise una sentenza circa gli “Ordini non nazionali”, molto spesso bistrattati, ove non abbiano l’avallo di una dinastia ex regnante di sicuro prestigio.

    Un autorevole commento di questa sentenza trovasi pubblicato nella Rivista Penale, annata 1961, II parte/ 1° fasc., come V § di un ampio articolo a cura di Emilio Furnò (Foro di Genova),

    Se ne riproduce il testo (pp. 58-62), che sarà seguito da un breve commento.

     

    Classificati “non nazionali” gli Ordini dinastici ereditari cadono sotto la disciplina dell’art. 7 della Legge 178/51, per cui i cittadini italiani non possono usarne, nel territorio della Repubblica, le onorificenze o distinzioni cavalleresche, loro conferite, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri.

    I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire cinquecentomila. Trattandosi di contravvenzione, è applicabile l’art. 162

    C.P. che prevede l’oblazione con conseguente estinzione del reato.

    Ai fini dell’esatta interpretazione ed applicazione della summenzionata norma, occorre prendere in esame la natura della “autorizzazione” e dell’ “uso”, che essa stessa norma richiama.

    Il   provvedimento,  con   cui   il   Presidente   della   Repubblica autorizza l’uso delle onorificenze e distinzioni “non nazionali” ed estere, è un atto assolutamente discrezionale, rimesso all’esercizio di facoltà e prerogative proprie del Capo dello Stato. Ha la forma di decreto, come indica la Legge stessa, e si riallaccia all’analogo decreto reale di autorizzazione, previsto nell’ordinamento della cessata Monarchia. Ed ha la medesima funzione, che è quella di parificare alle onorificenze e distinzioni dello Stato quelle “non nazionali” ed estere. Infatti, ottenuta l’autorizzazione, il cittadino italiano ne gode il pieno diritto, che comporta la facoltà di non specificare l’onorificenza.

    Lautorizzazione deve essere promossa dall’interessato, con richiesta diretta al Presidente della Repubblica, tramite il Ministero per gli Affari Esteri, e corredata dai relativi documenti. Il Ministro dispone per   l’istruzione   della   pratica,   che   comprende   le   indagini   sulla personalità dell’istante, sulle sue condizioni sociali, etc. 

    La richiesta di autorizzazione può anche non essere accolta, data la discrezionalità assoluta del Presidente della Repubblica, il quale, nel concederla o denegarla, tiene conto di un complesso di circostanze, relative alla personalità del designato, alle sue benemerenze, alla sua posizione sociale, alle sue qualità morali,  politiche, etc.;e tiene altresì conto della posizione e dei rapporti con lo Stato estero, o con l’Ordine “non nazionale”, che ha concesso la distinzione. Ma la valutazione di tutte queste circostanze non viene espressa, poiché il provvedimento, affermativo o negativo,, non richiede né in realtà comporta mai alcuna motivazione.  Ciò  spiega  meglio  il  perché  contro  di  esso  non  sia esperibile   nessun   reclamo   né   in   via   amministrativa   né   davanti all’autorità giudiziaria. Ma proprio per questo la domanda di autorizzazione può sempre essere riproposta, poiché possono mutare od essere superate le ragioni, che hanno consigliato il precedente diniego, o possono essere accolte le eventuali ragioni proposte dall’interessato.

    Questo potere discrezionale rientra, come già accennato, nelle prerogative  del  Presidente  della  Repubblica  e  trova  la  sua giustificazione  nell’art.   87   u.   p.   Cost.   Rep.,   che   gli   riserva   il conferimento delle onorificenze dello Stato. Sebbene molto ampio, tuttavia non deve confondersi con la potestà di riconoscere o meno la validità dell’onorificenza oppure la legittimità del suo conferimento. La stessa Legge precisa, senza alcuna possibilità di dubbio, che si tratta di autorizzazione all’uso delle onorificenze “non nazionali” ed estere e non si tratta quindi di altro. Sarebbe del resto assurdo andare oltre i limiti fissati dalla Legge, perché di tutta evidenza è che il Capo dello Stato italiano non ha potere di sorta negli ordinamenti degli Stati esteri o degli altri soggetti di diritto internazionale. Comunque l’art. 7 della Legge 178/51 non consente di andare oltre la sua chiarissima lettera.

    Con il considerato potere, il Presidente della Repubblica ha in mano un efficace strumento per evitare abusi e per impedire che persone non  degne  godano  di   onori  a   parità  o   addirittura  a   disparità svantaggiosa per i concittadini. Efficace anche per equamente valorizzare, nel territorio dello Stato, Ordini equestri che si rendono benemeriti con attività di assistenza sociale o che danno lustro al paese per attività culturali, etc.  Utile infine per colmare certe disparità di trattamento fra  gli  stessi cittadini italiani, non  pochi  dei  quali,  pur avendo benemerenze, vengono trascurati dagli organi competenti alla proposta per le onorificenze dello Stato. Il che accade più spesso di quanto non sembri.

    Strumento, dunque, regolatore, sotto diversi, apprezzabili aspetti, ma non demolitore.

    Passando, ora, all’”uso” delle onorificenze “non nazionali” ed estere, bisogna vedere quale ne sia il concetto utile e se sia fondata la

    distinzione  fra   “uso   pieno”ed  “uso   limitato”,  elaborata  in   una recentissima sentenza penale della Corte Suprema Cassazione.

    Secondo questa autorevole sentenza, chiara ed accurata, la distinzione è portata dalla stessa Legge e scaturisce dal confronto fra l’art. 7 e l’art. 8.

    Osserva la Suprema Corte:

    Ed invero, mentre l’art. 7 stabilisce che i cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze e distinzioni cavalleresche, loro conferite in Ordini Esteri o non Nazionali, se non autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, l’art. 8 – nel porre   il   divieto   del   conferimento  di   onorificenze,  decorazioni  o distinzioni con qualsiasi forma e denominazione da parte di enti, associazioni o privati – punisce l’uso, in qualsiasi forma e modalità, di dette onorificenze, etc. Sicché, mentre l’art. 8 pone il divieto dell’uso in qualsiasi forma e modalità questo si esplichi, nell’art. 7 si prevede soltanto l’uso. Ora è evidente che se il legislatore ha inteso – accentuando la tutela repressiva nella seconda forma di reato – attenersi nell’art. 8 ad un concetto di uso più ampio, ne deriva, per le esigenze di una valutazione unitaria della norma, il carattere differenziale assegnato al concetto di “uso” nei due articoli 7 e 8. E si deve ritenere che il diverso significato, reso palese dalla semplice lettura delle due disposizioni, corrisponde ad un preciso diverso intento del legislatore che, se avesse voluto riferirsi ad un concetto di uso da applicarsi indiscriminatamente   nelle   diverse   situazioni,   non   avrebbe   avuto necessità alcuna di scendere ad una specificazione ulteriore, eliminando la possibilità di un uso in qualsiasi forma o modalità. Questa diversità di disciplina legislativa è certamente da porsi in relazione con quelli che sono  gli  scopi stessi della  tutela,  che  nel  caso  dell’art. 8  sono  più specifici e più intensi perché trattasi di onorificenze, che provengono da Ordini non riconosciuti né riconoscibili ( perché sostanzialmente enti privati) e per i quali è vietato lo stesso conferimento”.. 

    Così testualmente.

    Proseguendo nella sua attenta indagine, la Suprema Corte pone in  rilievo  che  il  conferimento  e  l’accettazione  delle  onorificenze  in parola non abbisognano di alcuna autorizzazione e sono fatti leciti produttivi, come tali, di effetti giuridici propri. Ma tali effetti non potrebbero consistere ed esaurirsi nell’aspettativa di ottenere l’”autorizzazione all’uso”, che non potrebbe nemmeno compiutamente configurarsi, trattandosi di atto assolutamente discrezionale, rimesso all’esercizio di facoltà e prerogative proprie del Capo dello Stato. 

    In altre parole, la Suprema Corte, rilevando il fatto storico, costituito dal conferimento e dall’accettazione dell’onorificenza, ne afferma la liceità e la conseguente efficacia giuridica,che non viene meno per l’eventuale mancanza dell’autorizzazione all’uso, la cui natura è già stata tratteggiata in questo scritto. Osserva di proposito la Suprema Corte che, se l’autorizzazione del Capo dello Stato riguardasse l’ uso in senso lato, comprensivo cioè del qualificarsi e del portare le insegne, occorrerebbe negare qualsiasi effetto giuridico all’accettazione, il  che  non  è  sostenibile,  dovendosi  ammettere  l’esistenza  di  un particolare “diritto soggettivo” che sorge con il conferimento e l’accettazione dell’onorificenza. Se ne deduce quindi la possibilità di un “uso limitato”, che si attua con la precisazione della specie e della qualità dell’Ordine e  del  titolo cavalleresco e  che  perciò non  urta contro gli interessi, posti a base della tutela penale.

    Le argomentazioni della Suprema Corte risultano ineccepibili, perché vanno alla radice del fenomeno, il quale, come si è detto più volte, è produttivo di effetti giuridici.

    E’ senza dubbio esatto che dal conferimento e dall’accettazione della onorificenza estera o non nazionale sorge un “diritto soggettivo dell’insignito”, sulla cui esistenza e legittimità non può influire, per le ormai note ragioni, la concessa o denegata autorizzazione del Capo dello Stato. Questi può soltanto consentire o negare il “pieno uso”delle esaminate onorificenze, il quale consiste nel diritto d’imporre l’ammissione in tutte le relazioni pubbliche o private.

    Si è già detto che l’autorizzazione parifica alle onorificenze dello Stato quelle estere o “non nazionali”; qui va precisato che la parificazione riguarda proprio l’uso, restando salvo l’ordine di precedenza stabilito nel protocollo ufficiale. L’autorizzazione, insomma, valorizza l’onorificenza estera o “non nazionale” nel territorio della Repubblica, assegnandole la più ampia portata.

    La mancata autorizzazione invece riduce l’uso dell’onorificenza “non  nazionale” o  estera, che  deve  pertanto essere  precisata nella specie e nella qualità e che non ha ingresso ufficiale nelle relazioni pubbliche e private. Resta una qualificazione privata, lecita ma sfornita di tutela giuridica. Non mancano situazioni analoghe.

    Nonostante il rigore circa l’uso dei titoli accademici e professionali, conseguiti all’estero, nessuno ha mai potuto negare ai titolari di qualificare, mediante opportuna specificazione, la natura e l’origine dei titoli stessi. Se è vero infatti che il laureato o il diplomato all’estero non può, senza la competente autorizzazione, inserirsi nelle rispettive categorie nazionali, nemmeno ai fini puramente onorifici, è altrettanto vero però che non viola alcuna legge , quando, sul biglietto da  visita,  carte  personali,  etc.,  o  comunque  nelle  relazioni  sociali indichi, con adeguata precisazione, il titolo o i titoli conseguiti. L’analogia è evidente giacché, sia nel caso di titoli accademici, etc., sia in quello delle onorificenze, il conferimento e l’accettazione non richiedono  alcuna  autorizzazione  preventiva  da  parte  dello  Stato italiano: ed entrambi i casi presentano fatti leciti, che sarebbe irragionevole non voler considerare neppure ai limitati effetti della pura e semplice qualificazione.

    Dalla impostazione, che precede, s’affaccia una non sterile distinzione tra diritto soggettivo ed interesse dell’insignito.

    Il primo è portato, come si è visto, dal conferimento e dall’accettazione dell’onorificenza, appartenente ad Ordine equestre “non  nazionale”  o  estero,  legittimo  nei  termini  sopra  precisati;  il secondo scaturisce dalla aspettativa, conseguente alla domanda di autorizzazione all’uso. L’uno comporta l’altro.

    Il  primo,  qualunque  ne  sia  la  misura  e  l’efficacia nell’ordinamento italiano, è sempre un diritto, che non può venire soppresso da nessun atto né del Presidente né del Parlamento della Repubblica italiana, poiché questi istituti non ne possono sopprimere la fonte, esistente al di fuori della loro influenza. Possono solo agire sulla misura del suo esercizio.

    Il secondo invece cade interamente nell’ordinamento italiano e si risolve in una semplice speranza, la cui realizzazione dipende dal potere insindacabile del Capo dello Stato; e non solo perché ancor più dipende dal potere, non meno insindacabile, del Ministro per gli Affari Esteri, competente a proporre l’autorizzazione nonché a rendere valido il decreto presidenziale, che da lui deve essere controfirmato ai sensi dell’art. 89 p.p. Cost. Potrebbe perciò accadere che la mancata autorizzazione non sia tanto dovuta al diniego del Presidente della Repubblica – il quale può ignorare persino l’esistenza della domanda – quanto  del  parere  sfavorevole  o  dall’inerzia  del  Ministro. Come potrebbe accadere che, nella successione dei Ministri, il successore del proponente sia di contrario avviso e si rifiuti di controfirmare il decreto presidenziale di autorizzazione.

    In queste situazioni, tutt’altro che improbabili, il disagio dell’interessato non trova alcun rimedio, non essendo previsto alcun reclamo né in via amministrativa né in via giudiziaria. Nel caso di onorificenza, concessa da Stato estero accreditato, potrebbe configurarsi il reclamo in via diplomatica. Ma, a parte il fatto che dovrebbe trattarsi di caso particolarissimo, non sembra ne sia conseguibile una risolutiva efficacia.

    Lorientamento della Suprema Corte – che merita piena adesione

    – ha, tra l’altro, il pregio di attutire l’eventuale eccesso di un potere così assoluto ed influenzabile; e tanto che non sembra rispondere ai principi informatori della Costituzione Repubblicana (artt. 2 e 3). Non si dimentichi che ogni Ministro deve di regola la sua nomina a considerazioni , spinte, intese, di natura politica, che lo accompagnano in tutta la sua attività. E, se è pensabile che il Presidente della Repubblica sappia elevarsi al di sopra delle varie correnti politiche – non mancano recenti esempi – tale distacco non può richiedersi al Ministro, politicamente responsabile verso il proprio Partito o verso le correnti di spinta.

    Nello stato di diritto, quale è la Repubblica Italiana, non è concepibile che ragioni  d’indole politica – o addirittura inafferrabili perché inespresse – possano prevalere, senza alcun reclamo, sull’interesse del cittadino, giustificato da un vero e proprio diritto, e persino quando sia sostenuto da autorevoli sentenze della Magistratura dello Stato stesso. Quando ciò accade – ed è accaduto come fra non molto si dirà – si crea, a dir poco, una inaccettabile indifferenza del potere  esecutivo  verso  il  potere  giudiziario,  la  quale  non  può  non incidere negativamente sulla comunità.

    E’ auspicabile che l’esercizio negativo del potere in parola venga vincolato all’obbligo di motivazione e che sia concesso adeguato reclamo. Ne verrà sicuramente migliorata la funzione, di cui sono stati già esposti i vantaggi, con la garanzia necessaria per il particolare interesse.

    A conclusione si osserva che l’uso, come sopra ristretto, mentre appaga una profonda esigenza di equità, assume di per se stesso la funzione di infrenare una troppo larga distribuzione di onorificenze non statuali>>.

     

    Fin qui il Furnò.

    E’ evidente che alcuni brani dello scritto sono ormai datati, essendo mutate – a distanza di tanti anni – modalità di presentazione d’autorizzazione, procedure, ecc.

    Altro elemento da considerare è il momento politico in cui fu scritto il saggio. Se la sentenza della Cassazione è dell’aprile del 1959 e lo studio è stato pubblicato nel 1961, ci troviamo nell’ epoca Fanfani (salvo le due parentesi Segni [15/2/1959-25/3/1960] e Tambroni [25/3/1960-26/7/1960]): l’ “apertura” a sinistra del dinamico esponente della DC impensieriva il ceto moderato, che tradizionalmente aspirava alle distinzioni cavalleresche.

    Ma veniamo alla sentenza.

    Posto che esistono Ordini “secundum legem” (quelli della Repubblica, della S. Sede, di Malta SMOM, del S. Sepolcro), Ordini “praeter legem”, non vietati in quanto di Stato estero o non-nazionali, e Ordini “contra legem”, appartenenti ad “enti, associazioni o privati “, il succo è questo: se a una degna persona è conferita una onorificenza, e questa viene accettata, ne scaturisce il diritto soggettivo dell’interessato all’uso. Per la normativa della 178/51 l’insignito presenta domanda di portabilità: se essa è accettata, ne consegue il diritto all ‘ “uso pieno” o “uso illimitato”, in tutte le occasioni pubbliche o private.

    Se la domanda non viene accettata, in quanto l’Ordine che ha conferito  l’Onorificenza  non  è  riconoscibile,  resta  il  diritto dell’interessato all’ “uso limitato” alla vita di relazione sociale.

    Come  non   viola  alcuna  legge   un   laureato  all’Estero,  che specifichi, su biglietti da visita o carta intestata, l’Università presso la quale ha conseguito il titolo, e la sua denominazione, così non viola alcuna legge l’insignito che, su biglietti da visita o carta intestata, specifica il suo grado, e l’Ordine che glielo ha conferito.

    Ne consegue che Ordini “non-nazionali”, che non possono essere riconosciuti in quanto non aventi i requisiti richiesti dal MAE, possono conferire onorificenze ugualmente, e l’ uso di esse deve essere, in ottemperanza alla sentenza, esclusivamente limitato alle circostanze private di relazioni sociali.

     

    Luglio 2010                                                                           r.r.

     

    (da www.famigliaromano.it/pdf/DivOrdCav2.pdf)